Marisa Albanese
La combattente
1 dicembre 2021 — 14 febbraio 2022
Museo Madre, Napoli
La Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee – museo Madre presenta “Marisa Albanese. La Combattente”, un omaggio a Marisa Albanese (1947-2021) a tre mesi dalla sua scomparsa, per ricordare il segno indelebile da lei lasciato nell’arte del nostro tempo e nelle vite di chi ne intreccerà lo sguardo. L’installazione gioca sul doppio piano di senso della personalità e della traccia vitale lasciata dall’artista e sul titolo dei lavori esposti nell’atrio del museo.
Le tre Combattenti che accolgono i visitatori nell’atrio del museo sono parte di un lungo progetto sull’energia delle donne e sul loro ruolo nella storia culturale e politica del nostro tempo, sviluppato nel corso degli anni da Marisa Albanese – temi da sempre al centro del suo interesse e lavoro – che si sono catalizzati alla fine degli anni Novanta nella serie delle Korai. Donne rappresentate in una posizione raccolta, intima, con indosso un casco che si fa perimetro di un’area di meditazione di cui son riflesso anche le mani, fissate in posture che richiamano la gestualità Zen.
Nell’anno 2000 queste figure femminili hanno una metamorfosi, si aprono al mondo e si trasformano in un’opera dedicata alla memoria delle donne di Napoli cadute lottando contro il nazifascismo durante le “Quattro Giornate di Napoli” del 1943 e destinata all’omonima stazione della Metropolitana di Napoli, tra le prime della nascente “Metropolitana dell’Arte”, che da allora le ospita definitivamente.
Il corpo di una giovane donna esile e forte, seduta come un guerriero nell’immediatezza della lotta, concentrata in sé stessa, padrona della propria intuizione femminile, indossa un elmo, metafora di un rapporto con il mondo teso dinamicamente tra la custodia, la protezione del proprio pensiero e uno sguardo che da questo è guidato e in questo muta nella lotta per l’affermazione della propria autenticità. Per l’artista forma e significato del casco evocavano anche i foulard delle madri di Plaza de Maio che, annodati sulla testa, son divenuti nel tempo simbolo di lotta e resistenza.
Il candore delle Combattenti rimanda immediatamente al bianco statuario, ma attenzione: ciò che noi vediamo oggi, per esempio nella statuaria greca, è un bianco lavato dal tempo, che ha perduto i colori di cui era ricoperto. Ed è proprio nella sua ambiguità che riposa l’origine del bianco da parte di Marisa Albanese che, tra le fonti “nascoste” della propria scelta, amava citare un frammento del capitolo 42 del Moby Dick di Herman Melville, dedicato proprio al concetto di “bianchezza”: “È questa qualità inafferrabile che rende l’idea della bianchezza […] capace di accrescere quel terrore fino all’estremo. Ne sono prova l’orso bianco polare, lo squalo bianco dei tropici e la balena albina: cos’altro se non la loro bianchezza soffice e fioccosa li rende quegli orrori ultraterreni che sono? […]”. “Qui ritrovo l’origine del mio bianco – scrive l’artista – In una ‘bianchezza’ portatrice sia di caratteri sublimi, sia di quelli orribili, risvegliando immagini di bellezza e di terrore. Potrei avere, negli anni, stravolto il messaggio di Melville, creduto di ricordare che anche per lui il bianco è paradisiaco per chi ne osserva la superficie e orrorifico per chi ne percorre la profondità, ma in molte culture il bianco è anche simbolo di rinnovamento e segna i più importanti passaggi del ciclo della vita, dalla nascita alla morte. Il bianco veste spesso anche il corpo della donna e porta in sé, troppo di frequente, segni di violenza e di discriminazione. Ed è questa sua ambiguità che ha guidato la mia scelta”.