Diciassette opere-contenitore, l’arte “gialla” di Maiorino

la repubblica napoli / 10 febbraio 2020


Inaugurazione venerdì alle 19 "È un colore che resta a metà: può essere letto sia in positivo sia in negativo..."

Forse si deve ai mercanti alessandrini l'arrivo a Napoli (e la sua adozione come colore "titolare" della città), del giallo egiziano. Perché dall'Egitto derivava, dove era servito per dipingere l'immortalità dei faraoni sulle loro tombe.
La storia dei gialli a base di piombo si trova anche citata da Ferrante Imparato alla fine del Cinquecento e ancora a Napoli come colore "giallolino", la cui ricetta segreta è custodita da un solo produttore. Solidi luminosi, di una materia impalpabile, prendono corpo nel ciclo di lavori pittorici dell'artista Alfredo Maiorino in occasione della nuova personale allo Studio Trisorio dal titolo "Giallo Camera". Inaugurazione venerdì alle 19 (via Riviera di Chiaia, 215, fino al 30 marzo).
Maiorino ha trasformato lo spazio della galleria Trisorio in un dispositivo prospettico, che ripropone, come in una mise en abîme al quadrato, le sue diciassette opere-contenitore disposte a parete. Il pavimento è rivestito da una moquette di colore giallo. L'artista, originario di Nocera Inferiore (1966), quindi dell'area dell'antica Pompei, dipinge per strati, come un antico "frescante", sovrapponendo pittura a palinsesto, miscelando colori e spolverando con il pigmento i fondi monocromi.
L'artista va oltre il grado zero dell'astrazione, tentando di ri-emotivizzarla e colmandone i vuoti con una figurazione eidetica, fatta di apparizioni oggettuali desunte da una quotidianità sbiadita, a bassa definizione. L'oggetto reale raffigurato è un puro pretesto per confermare l'illusorietà dello spazio pittorico. «Il giallo – spiega Alfredo Maiorino – è, se vado a ritroso temporalmente nel mio lavoro, un colore che mi ha sempre accompagnato e stavolta ho voluto sottolineare questo leit motiv. È un che colore che resta a metà, può essere letto sia in maniera positiva che negativa, dopo un periodo di grande importanza nella storia dell'uomo è andato un po' in disgrazia. Ora è usato piuttosto per sottolineare situazioni di pericolo. Solare e meno solare, quasi un declino del suo coniugarsi. L'idea era quella di utilizzare anche lo spazio architettonico, concetto molto presente nel mio lavoro.
L'architettura, che è una misura umana, diventa essa stessa contenitore delle mie opere che a loro volta sono scatole dove allestisco solidi e figure.
Queste, ancora, richiedono allo spettatore e a me stesso uno sforzo: sono chiuse sotto un vetro satinato, il che implica che la loro visione richiede una messa a fuoco. È come se si usasse una macchina fotografica il cui zoom va avanti e indietro per cercare un punto di nitidezza che l'osservatore, però, non troverà.
In questo modo le figure passano in secondo piano. Questa è stata la ricerca condotta negli ultimi anni». Gli oggetti, i solidi di Maiorino perdono così identità, non sono più riconoscibili e lasciano nel dubbio lo spettatore che vi sta davanti come tornato al "Mito della caverna" di Platone. –

Renata Caragliano
Stella Cervasio


 
Previous
Previous

Le sculture messe a dormire

Next
Next

Bill Beckley, Neapolitan Holidays | Studio Trisorio