Francesco Arena. Otto angoli. Studio Trisorio a Napoli

art a part of culture / 2 aprile 2021


“Un’ora, non è solo un’ora, è un vaso colmo di profumi, di suoni, di progetti, di climi”, affermava il filosofo Henri Bergson (1859-1941), parlando del tempo spazializzato e della durata reale. L’intelligenza che da sempre mira ai fini pratici, concepisce il tempo, così come fa anche la scienza, come una serie di istanti concatenati e misurabili: ha una visione del tempo spazializzata. Diverso è, invece, quando è vissuto dalla coscienza dell’individuo che non terrà conto del tempo spazializzato e oggettivato dalla scienza, piuttosto dalle condizioni psicologiche, in cui sono i momenti “percepiti” quelli che contano.
Percezioni e creatività sono le basi dell’arte di Francesco Arena (1978), in mostra nelle sale dello Studio Trisorio a Napoli, con una personale dal titolo Otto angoli, caratterizzata da un percorso temporale non lineare, pensata come un compendio del lavoro dell’artista: otto opere diverse per materiali e tematiche.

Le caratteristiche fisiche di ogni opera rispondono a precise esigenze poetiche: la pietra, il bronzo, il ferro, la cenere, sono sempre utilizzati in relazione ai concetti di spazio e tempo.

Gli intervalli temporali che intercorrono fra eventi memorabili della Storia collettiva e le vicende individuali della vita di Arena sono tradotti in unità di misura che determinano le dimensioni e il senso delle sue sculture.

La durata diviene così qualcosa di tangibile. Nella sua produzione artistica, egli parte da un punto fermo: il dato, che può essere il peso, la distanza, il volume e la dimensione che creano la forma.

Ad accogliere i visitatori sono le opere collocate agli angoli delle due sale, dove l’attenzione si sposta verso i punti più estremi della galleria, le installazioni necessitano di questo punto di incontro tra le due pareti per essere esibite. Nella prima sala, in prossimità dell’ingresso, il libro Extrême Occident (2013), dello scrittore francese Marc Chadourne (1895-1975), è collocato a mezza altezza sulla parete bianca.

E’ un testo che Arena ha trovato casualmente e già dal titolo ne ribadisce la connotazione geografica e lo spirito. Il libro racconta, ed anche l’arte è narrazione, perfino quando si presenta in forme apparentemente lontane. Sono storie spesso occultate all’interno della forma dell’opera.

Di grande impatto è Endless, Nameless (2020), un tubo Innocenti lungo sei metri piegato in modo da ottenere un angolo retto, all’interno del quale passa un nastro audio su cui è incisa la canzone dei Nirvana, dell’album Nevermind, che dà il titolo all’opera.

L’andamento tortuoso del nastro, lungo 60 metri, diventa metafora del percorso temporale. Ci si proietta in un viaggio a ritroso che ci riporta al genere grunge, al frontman della band, Kurt Cobain, che Arena riprende attraverso l’estensione e la sovrapposizione del nastro sul pavimento, in cui il groviglio di forme prodotte ci ricorda che la canzone non è presente nel suo aspetto vocale, ma nel suo aspetto fisico, di incisione reale. L’artista, come nel grunge, elimina fronzoli e tecnicismi restituendo una installazione di notevole valenza.

Elle capovolta (2020), invece, è una L in rame capovolta, alta 3 metri e reca incisa la frase di Auguste de Villiers de L’Isle-Adam: “NOUS NOUS EN SOUVIENDRONS DE CETTE PLANÉTE”, che Leonardo Sciascia scelse come epitaffio per la sua tomba traducendola in italiano: “CE NE RICORDEREMO DI QUESTO PIANETA”.

E’ una frase in cui egli afferma di essere stato un uomo che ha ricordato anche le cose che gli altri hanno voluto dimenticare e che continuerà a rammentare, di essere scrittore, anche nell’aldilà. Una asserzione che accomuna tutto il mondo non solo della letteratura, ma della cultura in generale, in cui Arena, condividendone il pensiero, riafferma la sua natura di artista e di narratore d’arte.

L’ultima opera della prima sala contrasta visivamente con le pareti bianche, è Monolite liquido nero (2019), una vasca di metallo in forma di triangolo equilatero di 1 metro per lato, contiene 100 litri di olio esausto che diventa volume e struttura dell’opera, è strettamente interconnesso alla vasca senza la quale non potrebbe esistere.

L’elemento liquido si adatta al suo contenitore e si stabilizza grazie al metallo di cui il raccoglitore è fatto. Una installazione caratterizzata da un pieno e da un vuoto, l’olio esiste grazie al vuoto della vasca che è comunque una forma piena. La simbiosi solida e liquida genera una scultura.

Nella seconda sala, il Trittico del sapere (2020), su tre lastre di alluminio lucidate a specchio, sono incise tre frasi tratte dal romanzo I calabroni, di Peter Handke: “Si scalda solo per quello che non sa”, “Quello che sa lo lascia freddo”, “Se sa di qualcosama non può appurare che cosa sia, è allettato a saperlo”.

La superficie specchiante dell’alluminio rende la scultura permeabile al contesto nel quale vive. Posta nell’angolo, in modo tale da creare un mezzo cubo aperto, dà anche l’illusione ottica di un cubo pieno, in omaggio agli artisti minimalisti e al Metro Cubo d’Infinito (1966) di Michelangelo Pistoletto (1933).

Le tre affermazioni incise rievocano per contenuto le idee del filosofo Socrate sulla conoscenza: “So di non sapere”. La consapevolezza di non sapere è un invito ad indagare, per imparare, per andare oltre quel mondo ordinario del conosciuto. Chi crede di avere cognizione su ogni cosa segue uno schema prestabilito, non sperimenta, non scopre, non conosce e non si pone domande.

L’artista pugliese e Handke sono accomunati dalla percezione del tempo e della durata. Nel romanzo dello scrittore austriaco, parlando delle sue “visioni” nel paesaggio della Carinzia meridionale in cui è cresciuto, narra della totale immersione nell’istante; è l’attimo in cui ci si sprofonda in esso, dilatandone la durata. Ed è la stessa cosa che avviene in Francesco Arena attraverso il processo creativo.

Sulla parete di fondo, Cubo (2020), è costruito con una catasta di lastre di marmo e pietra dalle quali è stato tagliato a squadro un angolo, in modo che tra la stratificazione delle lastre e le due pareti della galleria si crei uno spazio vuoto di forma cubica. Così scultura e architettura si fondono l’una nell’altra.

Quest’opera rievoca elementi delle forme geometriche tipiche della Minimal art e dell’Arte Povera. Un rifiuto dell’arte tradizionale per fare ricorso a materiali “poveri” come la pietra e il marmo, con l’intento di evocare le strutture originarie del linguaggio della società contemporanea.

L’ultima opera Fiore curva (2020), costituito da un blocco di bronzo lucidato a specchio, spinge un fiore dallo stelo lungo contro un angolo, tale da piegarlo fino ad assecondare la geometria del muro.

La curva della scultura prende forma dalla contrapposizione di forze fra il volume pieno del blocco e il vuoto dell’angolo. Emerge in questa installazione una stretta correlazione fra Fisica e Geometria, fra Natura e spazio, in cui la curva dello stelo rimanda alla capacità della rosa di opporsi e di adattarsi alle modifiche attuate dal blocco di bronzo e dalla parete della galleria.

Luca Del Core


 
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Francesco Arena. Otto angoli in mostra allo Studio Trisorio di Napoli

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