Macchine danzanti e “stato dell’anima” l’arte di Rebecca Horn
la repubblica / 7 marzo 2022
Inaugurazione sabato alla Riviera di Chiaia
In mostra sei sculture meccaniche e tre grandi disegni, realizzati in 30 anni
La figura retorica di Rebecca Horn, la metafora che dà la cifra delle radici della sua poetica, è il paradosso. Si può affidare a una macchina, a un meccanismo cinetico, sia pure interattivo, che si aziona quando il visitatore gli si avvicina, lo “stato dell’anima” dell’artista? Per l’artista di Michelstadt la risposta è sì. La macchina ci sta di fronte con un ventaglio di allusioni e simbolismi, e ci interroga severamente.
Il ventaglio è un’altra delle forme scultoree che stanno tra il significato di immagine e parola e sono adoperate ricorrentemente da Horn. Sabato alle 11 sarà inaugurata una nuova personale di Rebecca Horn dal titolo “Lo stato dell’anima”, allo Studio Trisorio, in via Riviera di Chiaia, 215 (fino al 14 maggio, da lunedì a sabato dalle 10 alle 13.30 e dalle 15.30 alle 19).
Nota a Napoli per l’installazione “Spiriti di madreperla” del 2002 in piazza Plebiscito, l’artista tedesca che si serve di vari linguaggi, dalla performance alla scultura al film, è anche autrice di poesie e progettista ingegneristica proprio alla maniera di Leonardo da Vinci.
In mostra sei sculture meccaniche realizzate tra il 1988 e il 2022 e tre “Bodylandscapes”, i suoi grandi disegni. Si entra nella sala e le opere sono come congelate in nella fissità del momento, pronte però a essere messe in moto dall’energia di chi le guarda. Improvvisamente questi interlocutori inanimati cominciano a muoversi come in una danza, svelando tutto il fascino di un universo meccanico, con radici anche in un autore che condivide con Horn le origini, E.T.A. Hoffmann. La prima, che riempie un’unica stanza, Die Preussische Brautmaschine (La macchina nuziale prussiana). Un riferimento sì all’opera “Mariée mise à nu par ses célibataires, même” di Marcel Duchamp, nota come “Le Grand Verre” (Il grande vetro), ma anche un colore – il blu di Prussia, scoperto a Berlino nel XVIII secolo come primo colore sintetico – che è quello che identifica la spiritualità, lo spessore, l’armonia. Come i surrealisti, Horn combina provocatoriamente nelle sue opere cinetiche oggetti eterogenei, creando accoppiamenti inaspettati di grande forza poetica, come nel caso della Macchina nuziale prussiana. Ci si trova di fronte una macchina fantastica, onirica, dove le scarpe da sposa bianche sospese a dei fili si attivano e si muovono girando su se stesse, sovrastate e come dirette da una sinfonia silenziosa mossa da due bracci meccanici con pennelli che s’intingono nel blu di due coppette per spostarsi e andare a dipingere lungo l’asse della scultura, disegnando uno spazio, ma anche schizzando le scarpe e il pavimento di colore. Le scarpe fanno da contrappeso paradossale perché, mentre di solito ci tengono attaccati alla terra, qui “galleggiano” nel vuoto. L’altra scultura meccanica è Die zehnkopfige Schlange (Il serpente a dieci teste), in cui ritorna la forma del ventaglio che si allarga lentamente, nascondendo e svelando, i cui bracci sono pennelli e l’anima meccanica è in ottone. È probabile che l’artista richiami con questa figura la mitologia del dio serpente delle isole Fiji Ulutini, riferendosi tanto al biblico peccato quanto alla seduzione della pittura “mediata” dalla simbologia del serpente di cui parla anche Aby Warburg e più specificamente e recentemente dall’antropologo Alfonso Maria Di Nola, con la festa dei serpari abruzzesi. L’ombra che si riflette sul muro sembra disegnare la forma di un ragno, altro simbolo ancestrale prediletto anche da un’altra signora dell’arte, Louise Bourgeois. In Art Eaters del ‘98 si vedono dei piccoli automi a forma di grilli in ottone che muovono lunghe antenne e zampe sulle due grandi tele bianche dipinte da Horn con macchie di colore blu, come compiendo un’azione conoscitiva e che li possa orientare. I disegni performativi Bodylandscapes, ha raccontato l’artista, «avevano origine nel momento in cui proiettavo l’energia del mio stesso cuore come puto fisso sull’immagine, che a sua volta descrive lo stesso arco o ha la stessa tensione che sono in grado di abbracciare con il mio corpo».
Renata Caragliano
Stella Cervasio