Raffaela Mariniello “La vita scorre sulle rive del mio fiume Volturno”

la repubblica / 6 giugno 2022


Il fiume sentinella. Il fiume casa che scorre. Il fiume insolito, occasionale compagno di gente di mare che non lo capisce o lo ignora, non lo riconosce. Maestro di una vita in corto circuito, eppure viva. Sintomo di malattia ma irreparabilmente di vita che continua, che non si ferma e ci porta comunque lontano. Appare così Zio Riz, il docufilm di circa un’ora di Raffaela Mariniello che sarà proiettato domani in anteprima al Festival Cinema Ambiente di Torino, prodotto da Teatri Uniti con Casa del Contemporaneo, con il contributo della Film Commission e in collaborazione con il Museo Madre, Studio Trisorio e Zona Rosa. Soggetto, fotografia e regia sono di Raffaela Mariniello.
Il viaggio, in cui si susseguono stagionalità e alternanza buio/luminosità, è cominciato nel 2018, a bordo di una canoa canadese chiamata “Zio Riz” e guidata da un Caronte ideale, e si è svolto soprattutto negli anni della pandemia, sul corso del fiume più lungo del Sud d’Italia, 178 chilometri d’acqua che corrono dal Molise al Tirreno, includendo le due Terre: quella di Lavoro e quella dei Fuochi, buona la prima, cattiva la seconda. Un corso come quello dell’esistenza umana, che potrebbe arrivare alla foce integro o essere deteriorato, distrutto e sporcato tanto da non poter tornare indietro. Tabacco e pomodoro, come leggevamo da bambini ne manuali di geografia, sono i “prodotti” dell’economia di quest’area, e anche i metodi di coltura, raccolta e messa in produzione non sono cambiati, si sono aggiunte soltanto le braccia dei migranti a quelle delle comunità locali. E l’altro prodotto è il cosiddetto “oro bianco”, la mozzarella. L’artista documenta tutta la vita che si muove intorno al fiume e ciascuno dei protagonisti che si incontrano interpreta se stesso in questo progetto di natura antropologica ma che tocca forte le corde dell’emotività mostrando una natura di una crudele bellezza anche nelle sue parti più martoriate e mortificate dall’uomo. È il caso di uno dei frame più poetici: quello in cui l’acqua del fiume sembra racchiusa nel vetro di un oblò e riflette il cielo mostrando addirittura banchi di nuvole che passano al vento. «La peculiarità del mio metodo di lavoro – sottolinea l’artista – consiste nell’affidare all’emozione delle immagini la bellezza anche lì dove c’è la devastazione». Come accade con la massa di tronchi d’albero e rami imbiancati dal sole e come ossificati che vengono trasportati e depositati sul litorale di Castel Volturno: un cimitero di dinosauri che spaventa e incanta al tempo stesso, contrastando il felice inizio delle sorgenti sotterranee, dove la natura incontrastata parla e canta, attraverso le voci degli uccelli e delle cicale anche se c’è silenzio. Si pone il mistero della straordinaria portata d’acqua di un fiume che non attinge a ghiacciai ma che prende corpo da bolle d’aria che emergono dal sottosuolo «come un bagno termale». Suoni che a mano a mano vengono coperti da altro genere di rumori: dal passaggio degli aerei a quello delle macchine agricole, fino al treno dell’Alta Velocità.
La pesca non per necessità ma per svago e i giochi di guerra dei ragazzi che simulano il “soft air”. C’è tutto un mondo che ruota intorno al Volturno. E il fiume, in queste scene, diventa il mondo.

Renata Caragliano
Stella Cervasio


 
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