Albanese e il doppio cielo dei migranti
il mattino / 28 settembre 2016
Allo Studio Trisorio un lavoro di sculture attraversate da proiezioni di testi omerici
«Mai scampò nave d’uomini che qui capitasse,/ ma tutto insieme, carcasse di navi e corpi d’uomini/ l’onde del mare e la furia d’un fuoco mortale travolgono». Un drammatico Canto dell’Odissea per parlare di naufragi, di uomini che per mare cercano un altrove di culture e conoscenze diverse, di accoglienze lì dove la patria d'origine si fa inospitale, di pace e prosperità se alle spalle infuria la battaglia. E il viaggio diventa paradigma universale della condizione umana, e l'omerico Ulisse incarnazione eroica della perenne ricerca dell'altro da sé, e al tempo stesso della propria identità da riadattare alle circostanze. Ulisse si fa marinaio, combattente, naufrago; Ulisse piange, viene umiliato, diventa straniero anche in casa propria. E il suo straordinario vissuto di uomo, che forse a un certo punto aspira solo a un po' di quiete, diventa il sottofondo recitato di una mostra molto emozionante che prende il via proprio dall'idea di viaggio, di migrazioni e popoli in movimento.
Marisa Albanese non è nuova a queste tematiche, anzi da qualche anno sta portando avanti un progetto che punta al coinvolgimento concreto degli stessi migranti che arrivano sulle nostre coste. E in questo solco si pone anche «Le storie del vento» che l'artista napoletana inaugura domani alle ore 19 negli spazi dello Studio Trisorio alla Riviera di Chiaia 215. Ad aprire la mostra sono proprio i testi omerici citati in italiano e greco da Iaia Forte e Pino Ferraro: parole che si fanno suono e che si fondono a un flusso di parole che si fanno segno, perché proiettate sul muro della galleria a tessere un orizzonte immaginario, un confine, un'idea di Mediterraneo. Un mare ancestrale, culla della civiltà sin dai tempi di Ulisse, e che oggi è attraversato da un altro tipo di naviganti, portatori anche loro delle loro istanze e delle loro culture. «Il movimento degli uomini che migrano crea nuove energie, fusioni di realtà diverse che immettono nuova linfa nella vecchia Europa» dice Albanese, che spiega la scelta dei brani dell'Odissea perché «sono parole antiche, tratte da uno dei testi fondanti della cultura europea che ci consegna una visione del Mediterraneo come sorgente originaria di scambi e di creazione di miti e leggende».
All'installazione «Orizzonti di parole» si affianca la grande scultura in alluminio «Doppio cielo»: il tronco di un albero senza radici ma con rami da entrambi i lati. L'immagine è quella di un albero speculare che occupa lo spazio raddoppiando la possibilità d'espansione: «La duplice fronda evoca la possibilità di due cieli – racconta l'artista – come se popoli diversi abitassero realmente sotto cieli diversi». E anche su quest'albero vengono proiettate parole che scorrono come una linfa vitale, «flussi luminosi di culture che si spostano e si incontrano nel Mare Nostrum», commenta l'autrice. E questa è un'opera che idealmente si collega all'installazione «Cosa fanno le altalene», in mostra in questi giorni alla Certosa di Capri, in cui pure si inscena il tema drammatico delle migrazioni.
A completare la rassegna ci sono an che «Book #1», un libro-albero come estrema simbologia della fusione di culture, e «Corpi d'acqua», un ciclo di acquerelli che invece rende protagoniste le radici delle piante, innestandole in geometrie di colori. Che sia la speranza di possibili accoglienze? Ancora una volta ci soccorre Omero: «Quando lontano di là avranno spinto i compagni la nave,/ allora non posso più esattamente segnarti/ quale dev'esser la via: tu da solo/ col tuo cuore consigliati».
Alessandra Pacelli