Arena allo Studio Trisorio enigma visivo in otto angoli

la repubblica / 15 febbraio 2021


Seconda mostra napoletana (da venerdì) dell’artista pugliese dopo quella di quattro anni fa “Questa è per me come un ritratto espanso…”

Le sculture sono messe all’angolo.
Così descrive la sua nuova personale (dopo quella del 2017) l’artista Francesco Arena che inaugura venerdì dalle 16 alle 21 allo Studio Trisorio con il titolo “8 angoli” (via Riviera di Chiaia, 215, fino al 10 aprile).
«Questa mostra è un autoritratto espanso – spiega l’artista pugliese, nato nel 1978 – che mette insieme otto lavori come otto sono gli angoli dello spazio da essi occupato in galleria. L’angolo è la base dell’architettura, l’incrocio di tre assi, tre superfici. Un muro è più simile a una scultura, mentre l’angolo è già architettura. Le sculture di solito vengono collocate al centro, io invece ho scelto di differenziare il punto di visione. L’angolo è basilare e marginale, si definisce “essere messi all’angolo” quando si viene messi in castigo da bambini». Sono opere che “accadono”, quelle di Arena, dove si parte da una regola, ma è la casualità che chiude il cerchio.
Nella prima sala, quattro opere: “Extrême Occident” (2013) è un libro esposto in alto a parete, flesso per potersi incastrare nell’angolo più a occidente dello spazio. «Non l’ho letto ma l’ho acquistato in Francia su una bancarella perché mi intrigava il titolo. Era il 2012. Andai in residenza d’artista a New York per 4 mesi e lo portai con me, collocandolo nello spazio più a ovest nello studio che la Columbia University mi aveva offerto. Nel 2013 c’è stata la personale al Frac Champagne-Ardennes di Reims, dove è stato esposto per la prima volta. Mi interessava l’idea di un Occidente estremo dal punto di vista politico e geografico. Quindi, cercandone altre copie, per caso mi imbattei nel “gemello diverso” di quel volume, dello stesso autore. Stavolta il titolo era “Extrême Orient”. Ne feci un nuovo lavoro che è in mostra qui nella seconda sala». Il percorso espositivo continua con “Endless, Nameless” (2020), titolo di una canzone dei Nirvana: una scultura composta da un tubo innocenti di 6 metri piegato ad angolo al cui interno passa un nastro magnetico di 40 metri, su cui è inciso il brano, che però non si sente: «Il rimanente nastro che fuoriesce disegna una serie di “infiniti Infiniti”, secondo quanto indica il titolo». Appoggiata a parete abbiamo poi una L rovesciata in rame alta 3 metri (2020), su cui è incisa una frase dello scrittore francese Villiers de l’Isle-Adam che fu scelta da Sciascia come epitaffio per la sua tomba: “Ce ne ricorderemo, di questo pianeta”. “Monolite liquido nero” (2019) è invece una vasca di metallo triangolare che contiene 100 litri di olio per motori esausto: «Ma potrebbe essere anche inchiostro – sottolinea l’artista – La struttura è il liquido, il contenitore lo delimita soltanto. Il liquido deve essere lucido e specchiante, apparendo solido, e contenitore serve per farlo percepire come tale. E’ un po’ come le idee che hanno bisogno di una struttura per potersi concretizzare, come l’alfabeto con le parole». Nella seconda sala “Fiore curva” (2020): «È un piccolo blocco di bronzo lucido, però pesa 30 chili – spiega Arena – posto contro l’angolo serve a tenere il fiore facendogli disegnare una curva che in realtà è la scultura stessa. In questo caso ho usato una rosa, ma va bene un qualsiasi fiore a gambo lungo flessibile che si possa piegare senza spezzarlo». Nel penultimo angolo è installato “Cubo”, un nuovo lavoro composto da una catasta di 18 lastre di pietre e marmi, nuovi e avanzati da altre opere, a cui è stato tagliato un angolo in mo- do da formare un cubo di vuoto nell’angolo reale della stanza».
La mostra si conclude con “Trittico del sapere”: su 3 lastre di alluminio lucidate a specchio sono incise tre frasi tratte del romanzo di Peter Handke “I calabroni”.

Renata Caragliano
Stella Cervasio


 
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