Beckley, caro amico ti scrivo

il mattino / 29 ottobre 2019


IN MOSTRA Alcune opere di Bill Beckley da oggi allo Studio Trisorio: l’artista americano mette concettualmente a confronto diversi strumenti di comunicazione

Allo Studio Trisorio l’artista americano presenta «Neapolitan Holidays» Tutto inizia con il ritrovamento in città di cartoline postali di cent’anni fa

Il ritrovamento di un baule carico di cartoline postali del secolo scorso, sollecita la creatività dell'artista che dà il via a uno scambio epistolare che si trasforma in un viaggio nella macchina del tempo. Ne viene fuori una narrazione intima sullo sfondo di grandi eventi storici, una sorta di saga familiare in cui l'artista interviene cambiando il significato in significante, incrociando culture e mondi – l'Italia di inizio Novecento e l'America contemporanea – mentre l'utilizzo di differenti strumenti di comunicazione crea un cortocircuito tra immagini e testi, tra l'allora e l'oggi, tra quello che eravamo, con le nostre memorie e la semplicità dei gesti, e quello che siamo nell'era dell'edonismo dei social, degli inganni delle fake-news e dell'ipocrisia.
Bill Beckley arriva allo Studio Trisorio con tutta la potenza della Narrative Art di cui è uno dei maggiori protagonisti, e muta le cartoline postali in una miniera d'ispirazione per una mostra concettuale sì, ma dal forte impatto estetico, che inaugura oggi ore 19 nella galleria alla Riviera di Chiaia 215, intitolata «Neapolitan Holidays». Già, perché Napoli è proprio il punto di partenza visto che le cartoline d'epoca sono tutte state spedite a indirizzi partenopei, ma la vacanza sottesa nel titolo è quella che mentalmente si è concesso l'artista: la grande distanza spazio-temporale ha consentito slittamenti di senso e piccoli testi visionari carichi di citazioni, sia personali che letterarie.
Principale protagonista è un professore che diventa tenente e finisce nel tritacarne della Grande Guerra: le cartoline sono infatti indirizzate ad Arturo Pantaleo, del 35mo Artiglieria, in una non meglio precisata «zona di guerra» del 1915. Un'altra mostra sovrapposto l'indirizzo di un Ospedale Territoriale con tanto di «letto n.101», segno che il nostro era stato colpito al fronte; poi, evidentemente dimesso, riceverà la cartolina a Napoli. I messaggi sono commoventi parole di «buona fortuna» e «rispettosi ossequi» inviati da alunni del professore-militare. Passano gli anni e altri sono i destinatari: una Elisabetta cui si fanno, nel 1948, gli auguri per l'onomastico, o una signora Semini vedova Pantaleo alla quale, in francese nel 1976, si chiedono notizie di salute, si raccontano proprie vicende familiari, si mandano saluti affettuosi. L'artista risponde con la schermata di un telefonino: i suoi testi in qualche modo rimandano al contenuto della cartolina, ma non sempre tutto è pertinente. E in questo risiede la grande fascinazione dell'opera: si cita una poesia di Wallace Stevens che sembra un'eucarestia («Che vino bevi? / Che pane mangi?») o i versi di T. S. Eliot che ricordano «ragazze-giacinto»; ma si parla anche di un paio di sneakers da comprare o dell'importanza di «non farsi trovare con i pantaloni calati».
E un racconto nel racconto, come se l'opera fosse un metaromanzo, sono le immagini con cui Beckley costruisce il corpo centrale dei suoi lavori: fotografie molto diverse fra loro, che assecondano poco l'occasione. Piuttosto le assonanze sembrano essere intellettuali, emozionali, estetiche, fornite da memorie personali: c'è una Capri vista da Posillipo e una giovane elegante in donna d'inizio Novecento con turbante piumato; c'è il particolare di un teschio dipinto, forse un memento mori, e il vortice caravaggesco delle «Sette opere di Misericordia»; c'è una bicicletta col cartellino del Vulcano Solfatara e l'irruenza di un'onda di mare; e ancora la bolla verde del dettaglio di un vaso da fiori, la zampetta felina di una scultura in marmo, la seduzione ironica di una scarpa rossa con tacco a punta. Mondi che si intersecano, visioni che si fondono, in una strabiliante sovrapposizione narrativa. Ma in fondo, anche le vere cartoline hanno sempre un'immagine che nulla ha a che vedere con il messaggio che la scrittura gli affida. E qui sta la loro bellezza.

Alessandra Pacelli


 
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