Bill Beckley: dialogo con le cartoline del passato
corriere del mezzogiorno / 29 ottobre 2019
«Napoli è la mia più profonda fonte di ispirazione. Quando ero giovane sono sempre stato attratto dalla sua bellezza ma anche dalla sua pericolosità. In altre parole, questo è il sublime, con la sua bellissima costa e il vulcano che la sovrasta». È un vero e proprio rapporto d’amore, di quelli passionali e struggenti, che lega l’artista americano Bill Beckley alla città di Partenope. Un rapporto da cui non si può fuggire, inevitabile, che dura ormai dal lontano 1986, anno in cui iniziò la collaborazione con lo Studio Trisorio, in occasione della personale «Gardens of Pompeii», una cui opera è attualmente esposta al Museo Madre. E ancora nella galleria di Riviera di Chiaia, Bill inaugura domani sera alle 19 il suo nuovo ciclo, «Neapolitan Holidays», in cui prosegue più convincente che mai il racconto di questo «love affair», che si innesta perfettamente nella dimensione della «narrative art», di cui Beckley è uno degli esponenti principali. Un’arte cioè che fonde repertori di immagini a pagine scritte, come accade anche in questa occasione. Il progetto espositivo, che comprende cinque grandi lavori e otto studi più piccoli, si è sviluppato in due anni di viaggi nella nostra città in cui l’artista nato in Pennsylvania nel 1946, aiutato da Lucia Trisorio, ha raccolto un immenso repertorio di cartoline trovate in vecchi bauli di famiglie napoletane, comprese fra 1915 e il 1976. «Centinaia, forse migliaia – spiega Beckley – soprattutto della prima metà del Novecento. Ho scelto quelle che più mi piacevano e, poiché non parlo italiano (ma un giorno lo farò), Lucia me le ha tradotte. Alcune erano davvero tipiche, come quelle di auguri, di Natale, Pasqua e cose simili». A questo punto, ingrandite le immagini, accompagnate poi da un’altra foto contemporanea scattata er associazione dallo stesso Bill, è nato infine lo scritto, giustapposto all’immagine, una risposta a quelle cartoline con messaggi spediti dal suo cellulare. Ovvero un modo per utilizzare gli strumenti della comunicazione contemporanea, per creare un nesso ricco di senso fra luoghi e tempi così lontani. «Le cartoline – precisa Bill - hanno ispirato i miei testi ma non hanno costretto le mie risposte. Comunque è questo il modo in cui le persone scrivono cartoline, anche se oggi preferiscono scrivere messaggi, che in fondo sono la stessa cosa. Mentre le foto attuali che ho accostato, dai tacchi a spillo ai vortici marini, sono il segno di una totale nostalgia del presente». Insomma un lavoro che ricorda le testimonianze visive e letterarie dei viaggiatori settecenteschi del Grand Tour. «I compagni viaggiatori che mi hanno preceduto non sono più in giro e un giorno neanche io lo sarò», conclude. «Allora avremo qualcosa di più in comune».
Stefano de Stefano