Felice Varini a Napoli. Armonie potenziali sui muri di Studio Trisorio
artribune / 18 novembre 2014
C’è un punto preciso, uno soltanto, in cui la visione si fa destino, generando una sintesi. Il punto in cui l’occhio indovina l’immagine. E rimette insieme i pezzi. Felice Varini lo chiama “punto di partenza potenziale”. Un luogo di certezza e insieme di liberazione: da qui, proiettando lo sguardo in avanti, la giostra di frammenti lineari e di geometrie tonali si srotola sui muri, come un collage inquieto. E realizza, magicamente, la sua forma: oggetto effimero e monumentale, in stato di disequilibrio costante.
Tutt’intorno c’è lo spazio. Le pareti, il soffitto, il pavimento, le scale, le stanze, e la possibilità di camminarvi in mezzo, seguendo quelle linee e quei colori. La forma sboccia, si scompone, si dischiude e si rimette in gioco. Alimentando percezioni sempre nuove. Fin quando il visitatore non torna lì, nel punto esatto: l’apertura, l’appiglio, la mappa e l’apparizione.
È questo che accade, più o meno, nella nuova galleria di Studio Trisorio, a Napoli, dentro le scuderie di Palazzo Ruffo Ulloa di Bagnara. Qui Varini ha realizzato dei wall painting site specific, a partire da due marcatori dello spazio: due capitelli, posti uno di fronte all’altro, divenuti i confini visivi di una grande composizione centrale, risolta in un incastro di curve, rette, angoli, campiture piatte. Unicamente blu, rosso e giallo, distesi nel bianco assoluto dell’ambiente. A realizzarsi è una scrittura irregolare di pattern, che avvolge, orienta e insieme disorienta, tendendo a un ordine che resta sul filo. Tra l’esplosione e l’implosione, tra una forza centripeta e una centrifuga.
Ed è l’architettura stessa, come racconta Varini, a farsi pittura. A innescare una danza di gesti incompiuti e di segni. Laddove la visione e il passaggio, il ritmo e la stasi, il frammento e l’unità, convivono dialetticamente. In un moto perpetuo.
Helga Marsala