I manifesti della Narrative Art
il giornale dell’arte / febbraio 2016
Napoli. È un capitolo molto denso dell'arte contemporanea, quello rievocato da «Elements of Romance. Works from the the Seventies», la personale che lo Studio Trisorio dedica all'americano Bill Beckley, artista concettuale nato nel 1946. Una stagione che assiste, da una parte, alla vicenda della newyorkese 112 Greene Street, galleria alternativa gruppo di autori tra i quali anche Beckley. E dall'altra, allo sviluppo della Narrative Art, dove la giustapposizione di fotografie e parole si traduce in un racconto che recupera l'effimero come la memoria, il banale come l'invisibile. Tra gli iniziatori di questa corrente, Beckley è autore di opere considerate manifesti della Narrative Art, tra le quali i pezzi storici che sono esposti in mostra, tutti concentrati nel decennio d'esordio di un'attività che prosegue tuttora. Nelle stampe cibachrome convivono immagini scattate da lui, pagine di giornali, testi e altri oggetti che si dispongono in tableaux brillanti, dove i temi personali si intrecciano con l'attualità, il quotidiano, i ricordi, e uno sguardo visionario. In «Myself as Washington», del 1969, si ritrae nei panni del primo presidente degli Stati Uniti, anticipando i giochi di ruolo di Cindy Sherman; in «Mao Dead», sette anni dopo, una pagina del «New York Post» annuncia la morte del leader cinese, mentre i paesaggi ai lati spostano il fuoco su altri contesti, lungo la linea tracciata da un parlare tra sé e sé; mentre in «Deirdre's Lip» e «Shoulder Blade», del 1978, è chiaro il rimando erotico, come una certa estraneità tra quello che si vede e quello che si legge, capace di aprire direzioni molteplici. E poi ancora, «Cake Story», «Paris Bistrot» e «Kitchen», oltre agli studi preparatori e agli acquerelli. La rassegna si può visitare fino al 21 marzo, nello spazio di Riviera di Chiaia a Napoli.
C.Co.