Jan Fabre a Napoli. Mostre diffuse e tribute to Hieronymus Bosch in Congo
art a part of culture / 1 maggio 2019
Jan Fabre (Anversa, 1958), è una delle figure più innovative nel panorama dell’arte contemporanea internazionale. Artista visivo, creatore teatrale e autore, già da giovanissimo era affascinato dal mondo degli insetti.
A Napoli, è il protagonista di una mostra itinerante che coinvolge diverse istituzioni culturali, ognuna con un approccio eterogeneo: da Oro Rosso. Sculture d’oro e corallo, disegni di sangue al Museo di Capodimonte, alla statua in cera, L’uomo che sorregge la croce, nella Cappella del Pio Monte della Misericordia.
Dalla iconica scultura, L’uomo che misura le nuvole del Museo Madre, alla centralissima Riviera di Chiaia 215, con Omaggio a Hieronymus Bosch in Congo, nelle sale dello Studio Trisorio, fino al 30 settembre 2019.
In questa ultima location, l’exihibit curata da Melania Rossi e Laura Trisorio, presenta una serie di opere realizzate con corazze di scarabei iridescenti, tre nuove sculture e due grandi trittici di cinque metri ispirati alla triste e violenta storia della colonizzazione del Congo belga.
Ad accogliere i fruitori è l’opera, The civilizing country of Belgium. Al centro della composizione il motivo della fragola è tratto dal Giardino delle delizie di Hieronymus Bosch.
Il frutto nel corso dei secoli è stato paragonato all’innocenza e alle virtù della purezza, perché appartiene ad una pianta che nonostante cresca nel sottobosco, tra erbe velenose e animali nocivi mantiene il bianco candore. Artefice di un delizioso e profumato frutto che per il suo colore rosso acceso è il simbolo dell’amore, passionale e sospettoso. Fabre, nella sua opera, ribalta il punto di vista, la fragola è di colore verde, una allegoria che si riferisce ai sensi, dove il suo fievole sapore è correlato allo sforzo dell’individuo nel raggiungere la felicità attraverso piaceri insoddisfacenti.
Simboleggia la follia, l’incostanza e la volubilità di un mondo abbandonato al Male. L’artista ci porta in una zona indeterminata, tra il Paradiso e il Congo Belga, è una illusione di libertà, un luogo remoto, mitico e concreto.
Nel trittico, Venturing, campeggiano il logo “BM”, “Baume et Marpent”, e la dicitura “Compagnie du Chemin del Bas-Congo, au Katanga”. Egli riproduce i nomi delle due aziende coinvolte nella ricchezza mineraria della colonia belga, due società ferroviarie che avevano il compito di trasportare materie preziose dal Katanga all’Atlantico.
Sono tre scene interdipendenti: a sinistra si nota un uomo nudo che porta un uovo sulla schiena; al centro, invece, si aggrappa a un pattino mezzo affondato e si vedono le gambe e i piedi di un’altra figura; sulla destra, un uomo nudo pattina e in basso una creatura simile a un rospo spinge un cuore su un’asta lunga e appuntita. In questo caso, i motivi attingono al pannello di destra del trittico, Il giardino delle delizie della terra” (1480-1490), di Hieronymus Bosch.
Nella sala successiva, tre teschi rievocano un tema ripreso più volte nell’arte e nella religione. Sono soggetti molto cari ai napoletani e rimandano alle capuzzelle del Cimitero delle Fontanelle del Rione Sanità e del costante rapporto tra vita e morte. Un sottile fil rouge lega le opere di Fabre al teschio, For the Love of God, di Damien Hirst, accomunate dall’utilizzo di colori sgargianti.
In quest’ultimo, la scultura è caratterizzata da un calco di platino di una testa umana in scala reale tempestata di diamanti al massimo grado di purezza o con pochissime imperfezioni, a 18 carati. Sulla fronte è incastonato un grande diamante rosa a forma di goccia anche noto come “la stella del teschio”.
E’ un oggetto che parla della transitorietà dell’esistenza umana e rappresenta la morte come qualcosa di infinitamente implacabile, rispetto alla lacrimosa tristezza di una scena di vanitas. Per Jan Fabre, invece, le tre teste rappresentano il legame della tribù aborigena del Bacongo, che vive lungo la costa atlantica dell’Africa, tra Pointe-Noire (Repubblica del Congo) e Luanda, (Angola) e il Cristianesimo.
Nella parte alta delle teste, il Cristo raffigurato sulla croce, con tratti africani, è accompagnato da piccole creature prese dall’immaginario religioso della tribù. Il cranio è l’elemento cardine dei dipinti della sfera fiamminga e italiana, una natura morta che allude al ciclo della vita, è un memento mori, ma anche la celebrazione della natura effimera e fragile dell’essere umano.
Jan Fabre crea un ossimoro visivo, in cui alla cristallizzazione delle corazze iridescenti degli scarabei in superficie, contrappone un significato molto profondo, la caducità della vita. Insetti, croci e teschi diventano gli strumenti per raccontare la storia dei popoli tra speranze e disincanto, in maniera lucida e concreta.
Luca Del Core