L’oro rosso di Fabre tra alchimia e memoria

arte / maggio 2019


L’artista belga in un gioco di affinità elettive e rimandi simbolici

Il Museo di Capodimonte, Studio Trisorio, Pio Monte della Misericordia e Museo Madre sono le sedi che, fino a settembre, accolgono a Napoli i lavori di Jan Fabre (Anversa, 1958), in un interessante intreccio con storia e luoghi della città.

ALLEGORIE. Un dialogo serratissimo tra gli antichi maestri di Capodimonte e l’artista belga prende vita al secondo piano del museo, in un gioco di affinità elettive e rimandi simbolici con le opere rinascimentali, barocche e manieriste selezionate dalla collezione permanente. Il titolo della mostra, Oro rosso, rimanda all’antico nome del corallo, con cui l’artista belga ha realizzato, per Napoli, dieci sculture inedite e preziose, affiancate a disegni fatti con il sangue e sculture in oro. Riunite in un’unica drammaturgia, creano trappole visive con l’antico e svelano il fulcro della sua poetica: alchimia e memoria dei materiali; il legame teso con il passato; la metamorfosi; la dialettica arte-vita, tangibile-intangibile, natura-artificio. Con Omaggio a Hieronymus Bosch in Congo, allo Studio Trisorio, Fabre affronta il passato coloniale del suo Paese, reinterpretando i simbolismi del Giardino delle delizie di Bosch come allegorie di violenza e ingiustizia. Sculture e grandi mosaici con corazze iridescenti di scarabei vibrano di una miriade di sfumature e riflessi, calando in un’atmosfera sfarzosa le immagini di propaganda e atrocità del Belgio leopoldiano in Congo. Nella Chiesa del Pio Monte, la scultura in cera L’uomo che sorregge la croce rivolge lo sguardo verso Le sette opere di misericordia di Caravaggio, generando un’esplosione di senso. Nella grande tela le opere di misericordia sono azioni squisitamente umane, traducendo in pittura la concezione esistenziale dell’uomo, fatta di lacerazioni e contrasti. Nella scultura di Fabre, è un uomo a tenere in equilibrio su una mano un’imponente croce. Nel gesto non c’è sforzo, né sofferenza. È metafora del dubbio, del desiderio di trovare un possibile bilanciamento tra opposti. Nel cortile d’onore del museo Madre, il marmo L’uomo che misura le nuvole è proteso con un metro verso il cielo, nel tentativo impossibile di contenere l’esuberanza mutevole della vita in una sorta di misurazione numerica.

Francesca Caputo


 
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