Le fragili materie di Elisabetta Di Maggio “Una mostra sussurrata”

la repubblica napoli / 11 dicembre 2023


«È una mostra sussurrata e sussurrare crea stupore, pretende attenzione e riflessione, un tempo più lento. Penso che abbiamo bisogno di stupirci, soprattutto ora che attraversiamo un momento così difficile». Sono le parole di Elisabetta Di Maggio, milanese, classe 1964, che vive e lavora a Venezia e inaugura giovedì alle 18,30 allo Studio Trisorio la personale dal titolo ”In-attesa”. La mostra ha due sedi, quella storica della Riviera di Chiaia, 215 e l’altra in via Carlo Poerio, 116.

Resterà aperta fino al 15 febbraio. Di Maggio “sussurra” alla materia (metalli, foglie, porcellana, fogli di carta velina, sapone, vecchi intonaci di mura), tramutandola in un merletto che rievoca un sistema venoso, i legami e gli scheletri interni di esseri ma anche di comportamenti, di situazioni. Li evidenzia attraverso l’uso di un bisturi: la delicatezza scavata da un mezzo affilato, da chirurgo. Il suo tema è la fragilità, il disequilibrio, l’aleatorietà del tempo. Il titolo della mostra “ In-attesa”, allude in diversi modi al tempo, infatti, al sentirsi in uno stato di sospensione tra un prima e un dopo, quindi all’attendere che si realizzi qualcosa che ancora non è, oppure a qualcosa di inaspettato e improvviso. «In-attesa è come mi sento, come sono; sono partita da qui e a mano a mano prendevano forma dei lavori che, come frammenti, andavano a comporre l’intera mostra».

Una delle opere, “Annunciazione”, è costituita da due ali di libellula che assomigliano alle ali di angeli medioevali e rinascimentali e anche alle vetrate delle cattedrali o allo scheletro delle foglie. Un’altra, “Cosmographiae”, fatta con garza medica, filo e cera, è una carta geografica inserita nel telaio del ricamo a tombolo che ancora una volta fa riferimento al lavoro fatto mano femminile, delicato e leggere: «Il titolo è preso in prestito da “Cosmographia” di Tolomeo, 27 carte geografiche custodite alla Biblioteca nazionale di Napoli». I “Vuoti d’aria” – foglie, rametti, coralli contenuti in teche di vetro soffiato e piombato – sono sospesi dove tutto è precario, in bilico, e basta un soffio per farli cadere. “Traiettoria di volo di farfalla #15” traduce la metafora dei percorsi esistenziali di ciascuno di noi: i lepidotteri, infatti, volano in direzione non costante e non lineare, a causa del meccanismo che produce il movimento delle ali. Sempre con un bisturi nascono foglie incise a mano su fogli di carta, lungo le loro venature, che catturano con la grafite anche il movimento della loro ombra.

Occupa uno spazio a sé, in via Poerio, l’opera “Rape”, che, pur se realizzato nel 2001, è di stretta attualità in relazione ai molteplici e recenti fatti di cronaca riferiti alla violenza contro le donne. L’opera è composta da 600 saponi di Marsiglia intagliati a mano e poggiata sul pavimento. Il profumo è rassicurante, significa casa, la nostra comfort zone. Ma sui pezzi di sapone sono incise parole che sono tutt’altro e riconducono immediatamente alla violenza: quelle che designano gli umori generati durante uno stupro. Parole che suonano per noi come coltellate: urina, sangue, sperma, saliva, sudore, lacrime. «La forma minimalista del lavoro steso a terra – conclude Di Maggio – ricorda in realtà quello di una lapide, e rivela il senso drammatico di qualcosa di indelebile, di un’ombra che non si può cancellare».

Renata Caragliano

Stella Cervasio


 
Previous
Previous

A Napoli l’opera-denuncia sul tema dello stupro. Parla l’artista Elisabetta Di Maggio

Next
Next

La baita di Heidegger: Francesco Arena alla Fondazione del Roscio, Roma