Le opere di Mimmo Jodice e Francesco Vezzoli in dialogo a Capri
exibart / 11 luglio 2023
La sede caprese dello Studio Trisorio ospita una doppia mostra di Mimmo Jodice e Francesco Vezzoli: fotografie e sculture in dialogo sul tema della memoria collettiva e individuale
Ai passi di Tiberio, Ottaviano Augusto e Svetonio si sovrappongono oggi gli infradito a buon mercato dei turisti disorientati e sudati, ansimanti sotto il sole impietoso di inizio luglio. Capri è una promessa mai mantenuta per l’avventore della gita mordi e fuggi, equamente impegnato – nel tempo che intercorre fra l’aliscafo delle 9:30 e quello delle 18:25 – a fare file e a scattare selfie. Il piccolo spazio dedicato alle esposizioni temporanee della sede caprese di Studio Trisorio sembra settarsi invece su altri parametri spazio-temporali. Pare che le lancette dell’orologio vogliano rallentare o addirittura sparire con la mostra “Damnatio memoriae”, dialogo artistico fra Francesco Vezzoli e il maestro della fotografia Mimmo Jodice sul concetto di storia, memoria e archeologia.
Ognuno a modo proprio, entrambi su questo argomento hanno molto da dire. Jodice con i suoi scatti ipnotici dedicati alle immortali opere di Pompei ed Ercolano, Vezzoli con la sua archeologia minore: piccole teste, braccia, mani, reliquie che dal passato giungono a lui per trasformarsi da arte antica ad arte contemporanea. Attratto dal passato quanto dalle sue cicatrici, Vezzoli parte dalla fotografia dell’Amazzone da Ercolano in cui, dal volto deturpato della rovina rinvenuta nel sito archeologico, fa capolino uno sguardo femminile integro e fiero.
«Incontrando il Maestro Jodice ho avuto modo di confrontarmi con la grande archeologia ferita», racconta Francesco Vezzoli, a proposito della mostra di Capri. «Attraverso la sua fotografia Mimmo Jodice è in grado di restituire a queste opere, di inestimabile valore ma irrimediabilmente danneggiate, grande dignità. È qualcosa che faccio anche io nel mio percorso artistico: recupero piccoli reperti, soprattutto frammenti e corpi decapitati, di minor valore storico e artistico e, attraverso il mio intervento, dono loro una nuova vita artistica».
Nell’allestimento della mostra caprese, progettato da Filippo Bisagni, alla fiera guerriera, protagonista della fotografia di Mimmo Jodice, si accostano due busti in marmo del Seicento e del Settecento, raffiguranti l’imperatore romano Caracalla, con interventi di Francesco Vezzoli. La scelta dell’imperatore romano, avido e spietato, non è certamente casuale: Caracalla applicò infatti al fratello, alla moglie e al suocero, accusati di aver tramato alle sue spalle per ucciderlo, la pena della “condanna della memoria” che consisteva, secondo il diritto romano, nell’eliminazione di ogni traccia relativa alla storia personale dei condannati, decretandone quindi l’eliminazione dalla memoria collettiva, proprio come se non fossero mai esistiti. Nel confronto fra le opere dei due artisti il messaggio è forte e rimbomba nella piccola sala di via Vittorio Emanuele: narrazione storica, memoria e identità sono strettamente connesse. L’artista può riportare alla luce ciò che il tempo o la volontà umana hanno condannato al buio eterno.
Alla Storia con la S maiuscola si contrappone poi la piccola storia, quella del tutto personale e che forgia l’identità di ognuno di noi. È così che Vezzoli espone, in occasione della mostra caprese, una serie di locandine di film immaginari appartenenti al genere peplum movies: Clopatra che piange serpenti e Cabiria con lacrime di perle fanno capolino sul velluto rosso delle vetrine di un fantomatico Cinema Tiberius, di chiara ispirazione vintage.
«L’interesse per il mondo antico in chiave pop parla di me, della mia adolescenza – prosegue Francesco Vezzoli – Di quando nel pieno degli anni ’80 avevo 14 anni ed ero super pop, ascoltavo Marcella Bella e i Righeira mentre trascorrevo giornate intere a tradurre greco e latino. È stato bellissimo lavorare con gli ultimi grandi artisti che hanno dipinto i poster dei più importanti peplum movies di tutti i tempi. Questi lavori parlano di me, della mia storia. Erano l’antidoto contro la mia personale damnatio memoriae. Oggi non sento più il bisogno di preservare la mia identità. Posso portare il mio interesse artistico fuori da me stesso».
Chiara Reale