L’obiettivo e la devozione – Polidori da Trisorio indaga le chiese rimaste deserte
la repubblica / 5 novembre 2018
Si chiama “Devotion Abandoned”, la storia d’amore e devozione catturata dall’obiettivo fotografico di Robert Polidori, andando in giro per Napoli nel corso degli ultimi due anni che ha dato origine alla mostra omonima che s’inaugura venerdì alle 19 nello Studio Trisorio ( Riviera di Chiaia, 215). Per il fotografo canadese (Montréal, 1951) che dal 2015 vive e lavora in California, la parola chiave del suo lavoro è “camera”. Sostiene infatti che la camera come fotocamera è comparabile a “una stanza”, dove l’otturatore “è una finestra”: «Così – aggiunge l’artista – sono entrato nelle stanze, come metafore dell’esistenza». Le sue foto danno vita a un altro mondo che racconta, molto lentamente, un altro modo di fare storie con una qualità narrativa aperta all’interpretazione e, allo stesso tempo, capace di condensare infinite emozioni. «Cerco di catturare il genius loci. L’immagine fotografica per eccellenza per me è un’immagine fotografica che da dentro la “camera” guarda verso fuori», spiega Polidori. Questo a suo avviso definisce l’arte della fotografia. Polidori ha iniziato la sua carriera a New York nel cinema d’avanguardia, assistendo Jonas Mekas negli Anthology Film Archives, un’esperienza che ha segnato il suo approccio alla fotografia. Dagli anni Ottanta si trasferisce a Parigi dando vita al suo primo progetto fotografico di documentare il restauro della reggia di Versailles e le sue trasformazioni nel corso degli ultimi trent’anni. Ha realizzato serie fotografiche a L’Avana, a Chernobyl e ha documentato le conseguenze tragiche dell’inondazione dell’uragano Katrina a New Orleans, esponendone gli scatti al Metropolitan Museum di New York, che glieli aveva commissionati nell’autunno del 2006.
Allo Studio Trisorio l’artista presenta venti fotografie realizzate all’interno di chiese napoletane abbandonate: quella di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo, Santa Maria del Popolo agli Incurabili, Santa Luciella ai Librai, Sant’Agostino alla Zecca, Gesù e Maria, il sacro Tempio della Scorziata, Santa Maria Vertecoeli, San Potito e l’Augustissima Compagnia della Santa Croce. Ma ci sono anche foto di rovine dei Campi Flegrei, di Oplontis e Pompei perché, come le chiese abbandonate, anche questi luoghi carichi di storia diventano, attraverso il suo sguardo, metafore della storia in essere. In Sant’Agostino, addentrandosi nella cripta, l’artista ha scovato una vecchia fotografia ritoccata di un ragazzo d’inizio ventesimo secolo, incollata su un intonaco mezzo crollato, forse un morto la cui epigrafe è ormai abbandonata. Così come le altre chiese scelte da Polidori sono state dimenticate per anni: così lui ha potuto compiere la propria ricerca sul declino del fervore religioso che una volta animava i frequentatori dei templi. Così le venti storie topografiche di Napoli e dintorni firmate da Polidori si soffermano su un’idea di bellezza come rovina, sottolineando il passaggio del tempo attraverso gloriosi strati fatiscenti – mattoni, intonaco e resti di pittura e carta da parati di diversi secoli – e sottili colorazioni e complessità di questi edifici religiosi e non, creando un ritratto architettonico non convenzionale e pittorico.