Maiorino, oltre la realtà arriva solo la pittura

corriere del mezzogiorno / 17 aprile 2015


Stasera vernissage allo Studio Trisorio di Chiaia

Chi ricorda «Il cielo capovolto», quasi dieci anni fa negli spazi di Castel dell'Ovo, non ha dimenticato quella particolare stratificazione di colori, più esattamente velatura, stesa sulla tela alla maniera dei maestri del Quattrocento. Quella tecnica pittorica capace di riscoprì il «reale» nell'accezione più vasta e che Alfredo Maiorino, giovane talento di Nocera Inferiore (classe '66 che a partire dagli anni Ottanta, nel clima del «ritorno alla pittura» e della grande stagione dell'Informale, matura la sua personale linea espressiva) aveva ripreso ad arte così che dalle superfici monocrome dei suoi quadri emergessero ciotole, fiori, pesci e icone sfumati o come corpi solidi carichi di diversi rimandi simbolici.
A distanza di qualche anno dalle ultime esposizioni partenopee, ritorna Maiorino con una nuova personale allo Studio Trisorio, per «Ri-velare» (è questo il titolo della mostra che inaugurerà stasera alle 19) quel processo di sintesi espressiva che ha affinato nell'ultimo triennio. Prendendo le distanze proprio da quella pittura intesa come rappresentazione e allontanandosi radicalmente dall'allusione alla realtà concreta. Tanto che nella direzione «riduzionista» il campo d'indagine non può che riguardare gli elementi primari, i materiali stessi dell'opera. Ecco che allora Maiorino, che nel 2010 ha ricevuto il Premio Pandosia per l'Arte Contemporanea e l'anno successivo l'invito alla 54° Biennale di Venezia, sposta l'attenzione sulle qualità tattili e visive degli elementi del linguaggio pittorico. Nelle sale della galleria della Riviera, è chiara l'operazione sottrattiva. Il colore, per esempio. Perde la consistenza materica, finisce diluito in sostanza mentale, quasi interiore. «Non potendo penetrare il mistero – spiega – dipingo quello che si può immaginare che ci sia all'interno». Cosa resta della pittura? Evidentemente gli elementi strutturali: la tela, la preparazione, il disegno, lasciando che gli oggetti misurino lo spazio bidimensionale dell'opera e si relazionino ad esso in modo funzionale, in un rapporto simile a quello dell'uomo nello spazio che abita. «L'opera sta lì perché cerca qualche altra cosa – ribadisce – ha nostalgia di qualche altra cosa, un qualcosa di miracoloso, di lontano, dentro il quale non si può entrare». E in quello spazio purificato comincia a inserire materiali come il vetro ed il feltro. Per proteggere e isolare. Così che il vetro opacizza e riflette lo spazio pittorico proteggendo la superficie, mentre il feltro, carico di energia animale, la isola e la riscalda.
Fino al 31 maggio.

Melania Guida


 
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