Fabrizio Corneli Studio Trisorio, Napoli

exibart / 22 marzo 2019


Ciò che è non sembra, ciò che sembra non è, nelle opere che Fabrizio Corneli espone negli spazi dello Studio Trisorio fino al 22 marzo. La ricerca che l'artista da sempre porta avanti sulle proprietà della luce, sul gioco di riflessi, proiezioni e ombre, si traduce in una instancabile sperimentazione sulle loro proprietà, tanto fisiche quanto illusorie. Ma se da un lato la fascinazione che i raggi luminosi esercitano sull'artista fiorentino è impregnata degli innumerevoli significati simbolici che nel corso della storia sono stati attribuiti alla luce – da segno divino a emblema della ragione – dall'altro si mescola nel suo lavoro ad un approccio ludico, di quasi infantile curiosità; quella curiosità che lo porta a indagarne le potenzialità anche applicandole ad un immaginario conformato sulle grandi esperienze dell'arte occidentale.
É così che Corneli ripropone capolavori come il Doriforo di Policleto o la Venere di Milo, tra le più 'corporee' immagini della nostra cultura, rendendole immateriali, per certi versi contingenti, visibili così come sono fintanto che la sorgente di luce resta in vita li dov'è, immota. Alla ricerca delle possibili reincarnazioni dell'ideale classico, l'artista escogita piccoli, impercettibili stratagemmi, messi a punto attraverso la sottile coesistenza di pieni e vuoti.
Se in Qi–Pagoda e Qi–Venere è una miniatura incisa su una sfera di vetro a definire i profili cui sarà proprio la luce a dar corpo, in Core 1 e Core 2 le figure luminose sono ricavate da pochi tagli in volumi geometrici semplici, come in altri lavori della stessa serie, non a caso chiamata Boxes, quale Piazza dei Miracoli: l'opera, che l'artista ci racconta aver progettato in una calda e insolitamente silenziosa estate fiorentina, si traduce in un pattern dall'aspetto arabeggiante emanato da un prisma triangolare. Questo lavoro di sintesi delle forme, che passa attraverso un'essenzialità nell'uso dei materiali, è ancor più evidente nel Doriforo, la cui imponente presenza volumetrica è in realtà il frutto di un 'assemblaggio' di ombre sottili di pochi, minimi profili metallici che si proiettano sulla parete, e raggiunge la sua estrema riduzione nell'Halo, solitario protagonista della seconda sala dell'esposizione. Qui, la sublimazione della forma si traduce nella sintesi tecnico-geometrica del fenomeno atmosferico dell'alone, cerchio perfetto – che in natura è dato dalla simultanea rifrazione e riflessione della luce sui cristalli di ghiaccio formando un globo intorno al sole o alla luna – proiettato, come alla ricerca di un canone proporzionale universale, su una superficie quadrata, di un blu che ricorda il lapislazzulo di affreschi rinascimentali.
In un vivace rimbalzo dall'arte classica a Galileo, da Piero della Francesca a Leonardo, Corneli rintraccia di volta in volta l'alchemico equilibrio tra materia e contingenza, tra fenomeno e percezione, tra volumetrie statuarie e segni minimali per restituire immagini che, in fin dei conti, nulla hanno di essenziale, ma che, con la loro presenza tutt'altro che evanescente nello spazio del visitatore, sono invece cariche di reminiscenze tra storia dell'arte, scoperte scientifiche, sperimentazioni tecniche.

Brunella Velardi


 
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Conversazione con Fabrizio Corneli tra luci e ombre