Napoli, il tempo sospeso di Elisabetta di Maggio in mostra allo Studio Trisorio
exibart / 30 gennaio 2024
Una delicata riflessione sul passaggio del tempo e sui mutamenti della vita: la mostra di Elisabetta Di Maggio nelle due sedi dello Studio Trisorio, a Napoli
Ne Il posto delle Fragole di Ingmar Bergman, c’è una scena in cui il protagonista, Il professor Isak Borg, interpretato da Victor Sjöström, chiede a un altro personaggio dove sono andati tutti. Ovviamente siamo in uno dei suoi sogni, che fa presto a tramutarsi in un incubo dalle sembianze quanto più reali, pensando alla connotazione biografica del film. «Lo sa, no? Via, lontano: tutti spariti. Non sente il silenzio che c’è? Una perfetta operazione chirurgica. Ogni cosa è stata asportata: più niente che dolga, più niente che sanguini o palpiti». A quel punto, il protagonista si chiede qual è la punizione e la risposta non tarda ad arrivare, lapidaria: «Chiaro: la solitudine». Ci sono una sensazione di solitudine e un’attenzione al dettaglio simili, nelle opere di Elisabetta Di Maggio (Milano, 1964), che allo Studio Trisorio di Napoli porta diversi lavori dal titolo bergmaniano, In-attesa.
Se guardiamo all’etimologia della parola “attèsa” (dal latino attĕndĕre, “rivolger l’animo a”, composto di ad-, “verso”, e tĕndĕre) e teniamo ben conto del prefisso in-, possiamo dedurne che siamo davanti a un microcosmo dal tempo sospeso, apparentemente leggero. La serie di materiali, perlopiù naturali, che l’artista manipola per realizzare le opere, riflettono la cura della mano e della mente che, simbioticamente, gli hanno dato vita.
«Qui niente sembra cambiato, eppure tutto è mutato», direbbe Wislawa Szymborska.
Varcando la soglia la prima opera che si incontra, è Traiettoria di volo di farfalla #15 (2023), una sorta di mappa del volo, come suggerisce il titolo, realizzata con spilli da entomologo, proprio a volerne tracciare con precisione il passaggio aereo. L’opera allude, con la sua forma variabile, agli inevitabili mutamenti che la vita ci sottopone ma è anche un invito a rivederne la forma, nel tempo, con occhi più consapevoli.
Sulla parete adiacente ci sono una serie di mosaici della serie Cosmographiae, lavori in cera realizzati su sottili garze medicali tese su telai di legno, come quelli usati per il ricamo. Le tessere di cera sono incastrate in modo da formare delle figure che sollecitano le immagini della memoria, quelle dei mondi alla deriva. Queste terre in miniatura sfilano in successione dal grande al piccolo, ispirandosi alle rappresentazioni spesso fantasiose della geografia antica
«I miei mosaici – dice l’artista – sono frammenti che ricordano qualcosa, che assomigliano a qualcosa pur essendo astratti, come se fossero continenti alla deriva o mondi in formazione». Nelle teche ritroviamo diversi tipi di foglie, stabilizzate e tagliate sempre a mano con bisturi, che conservano la loro struttura fragile nella nuova forma solida, quasi laminare, come un monito.
Al di sopra del varco che collega le due sale, quasi come un rosone dalle forme planisferiche, si vede l’opera site specific Pie in the Sky (2023), un altro mosaico realizzato, questa volta, con frammenti di vetro che, in modo analogo agli specchi, riflettono una luce brillante, “di passaggio”.
E infatti, ad attenderci come una rivelazione, ci sono due grandi ali di libellula (Annunciazione, 2023), simbolo di libertà ed equilibrio, qui finemente intagliate in rame come delle foglie o delle vetrate gotiche, un richiamo alle ali dell’angelo Gabriele, nelle opere pittoriche dei grandi maestri del ‘400.
L’invito sembra quello a indossare le ali come un’armatura e metaforicamente “volare” verso la seconda sede espositiva di Studio Trisorio in via Carlo Poerio, dove ad attenderci c’è Rape. L’installazione si compone di 600 pezzi di sapone di Marsiglia su cui sono intagliate le parole: saliva, sangue, sudore, sperma, urina, lacrime. Qui, Elisabetta di Maggio incide un chiaro messaggio di denuncia e di verità, creando un mosaico estremamente attuale, dove non tutto è stato asportato, ma restano in attesa, solitudini vicine e silenzi assordanti.
Stefania Trotta