Napoli, opera d'arte in corallo di Jan Fabre nella Cappella del Tesoro di San Gennaro

la repubblica / 2 manzo 2023


Il barocco contemporaneo sposa quello napoletano: nel Duomo e nella chiesa delle anime del Purgatorio ad Arco in via Tribunali i capolavori donati dai mecenati Gianfranco D'Amato ed Enzo Liverino

Oro rosso sangue, il colore del martirio e della resurrezione, della "redenzione dei cattivi", ma anche della sconfitta dei mostri: il corallo nella leggenda riportata da Ovidio nacque dal sangue della testa di Medusa tagliata da Perseo. Un mare di corallo. Un tappeto di esoscheletri di un piccolo animale a forma di cetriolo, chiamato polipo (mentre quello più grande è il polpo). Con questi frammenti di natura l'artista fiammingo contemporaneo Jan Fabre aveva già creato altre opere strabilianti. E' questo l'aggettivo appropriato per lavori che in antico sarebbero stati adatti a una Wunderkammer, due dei quali ora saranno permanentemente esposti nella Cappella del Tesoro di San Gennaro nella Cattedrale e nella chiesa delle anime del Purgatorio ad Arco in via Tribunali, in seguito a una donazione di due mecenati: un imprenditore amico dei beni culturali napoletani, come Gianfranco D'Amato, e uno specialista da generazioni in materia di corallo nel suo regno, Torre del Greco, Enzo Liverino, figlio di Basilio che ha lasciato alla città un museo molto importante. Occorrono tre diverse messe a fuoco per poter vedere le opere in corallo di Fabre: da lontano, come dice Angela Tecce in catalogo, “appare una colata di lava rossa”, avvicinandosi prende forma il disegno in alto e bassorilievo. Infine a pochi centimetri è possibile scorgere i contorni della “frantumaglia” – per citare uno dei più celebri libri di Elena Ferrante – che sono forme a se stanti, piccole sculture di per sè: minuscole rose e rosette, spolette, pallini, tronchi e punte di cornetti che producono lo stesso effetto vermicolare del sangue che sgorga dalle vene, singoli petali. E più oltre, ingrandendo ancora, appare la porosità di un materiale dalla natura mista e magica, i forellini della lavorazione, che avveniva nell’acqua bassa di un mastello, perché i banchi di corallo in profondità appaiono bianchi e non rossi. Una per una, le piccolissime “tessere” di mosaico raccontano la storia di un antico lavoro, quello del taglio e della molatura del corallo per farne gioielli. Frantumaglia era nel romanzo quel “sentirsi divisi” in tante parti, perché indecisi su quale strada prendere, se tirati da più direzioni. Fabre ritrova, pur nella diversità delle forme, l’unità di questi materiali, che hanno segnato ieri il ritorno di un mecenatismo importante e generoso, con due diverse opere destinate ad altrettanti templi della religiosità e ritualità napoletana: la Cappella del Tesoro di San Gennaro nella Cattedrale e la chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco in via Tribunali. Grazie a questo mecenatismo, praticato dagli imprenditori Gianfranco D’Amato e Vincenzo Liverino, le opere dell’artista di Anversa Jan Fabre “Per Eusebia” e “Il numero 85 (con ali di angelo)" si aggiungono ai tesori di due importanti beni culturali napoletani. Nelle due nuove ma antiche sedi che si sono arricchite di queste opere sono intervenuti Riccardo Imperiali di Francavilla della Deputazione della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro, la curatrice del complesso museale della chiesa di Santa Maria delle Anima del Purgatorio ad Arco, Francesca Amirante, i donatori, la curatrice delle installazioni Melania Rossi e Jan Fabre.«Da uomo del nord, in situazioni come questa mi sento un nano tra tutti questi giganti del barocco. Vorrei ringraziare la mia fantastica gallerista, Laura Trisorio, e i due meravigliosi uomini che hanno reso possibile tutto ciò nella loro città: Gianfranco D’Amato e Vincenzo Liverino. Il primo, che ama la bellezza e l’arte, ha già dato sostegno al mio lavoro e un’altra fantastica persona, Liverino, il top nel mondo del corallo e delle perle, un grande conoscitore grazie al quale ho potuto realizzare gli schizzi e il progetto. Un lavoro di un anno e mezzo curato nei minimi particolari con questi minuscoli frammenti di corallo. E’ stato lui a supportarmi con un lavoro che ha le sue radici nell’artigianato, senza il quale un artista contemporaneo sarebbe stato impossibilitato a realizzare queste opere». Contemporaneo è il grande monocromo dal titolo “Per Eusebia” che ha preso il posto del vano di una finestra nelle stanze attigue alla sacrestia della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro, a cui si accede proprio da un passaggio sulle scale della Cappella dove sono custodite le ampolle con il sangue del martire. In una delle stanze è stata collocata permanentemente l'installazione che raffigura in rilievo sono la mitra, le chiavi, i cordoni, l’ampolla, “effetti personali” in forma di stemma vescovile di San Gennaro. L’effetto è quello dei tappeti rituali realizzati in alcune città vesuviane con pigmento misto a segatura finissima e a petali di fiori. E la meraviglia è anche di fronte a “Il numero 85 (con ali d’angelo)” nella chiesa detta delle anime pezzentelle: 85 nella smorfia sono le anime purganti. Ma è necessario anche un altro riferimento, perché la fonte di ispirazione dell’opera non si vede se non ribassata dietro l’altare: bisogna andarci apposta. Sotto la tela di Massimo Stanzione della “Madonna delle anime del purgatorio” sta un teschio al centro di due chiasmi (la Chi greca di Christos) formati da ossa da cui si svolgono le bende (le stesse trovate a terra nel sepolcro dopo la resurrezione di Cristo, mentre il sudario era ripiegato con cura). Ai lati del teschio, due ali, quelle degli angeli che anche nel dipinto provvedono alla spinta verso il cielo dei temporanei condannati al purgatorio al momento in cui sono “promossi”. Spiegano le storiche dell'arte Angela Tecce e Francesca Amirante: "Mentre la Madonna scendeva ancora in Purgatorio a prelevare le anime purganti nell'iconografia precedente alla Controriforma, al tempo di Stanzione non più. Ed ecco che sono gli angeli a scendere". Avrebbe detto Ferdinando Bologna "a fare la voltatella", come nelle "Sette opere di misericordia" del Pio Monte poco distante. Perdono e redenzione con acrobazie di angeli: da dopo Caravaggio voliamo fino a Frank Capra che nel film “La vita è meravigliosa” fa guadagnare le ali all’angelo di seconda classe Clarence, salvando dal suicidio George Bailey/James Stewart. Se non ci fosse stato questo riferimento nascosto dietro un altare, che l'artista di Anversa ha stanato e sognato, si sarebbe potuto pensare anche a un'altra leggenda napoletana: quella del veneratissimo e noto teschio con le "orecchie" di un'altra chiesa per il culto dei morti, Santa Luciella. Napoli, miniera di miti e di riti.

Stella Cervasio


 
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