Rebecca Horn Lo stato dell’anima

segno / marzo—aprile 2022


Rebecca Horn indaga Lo stato dell’anima e lo fa mettendo insieme, in maniera provocatoria, oggetti eterogenei presi dalla quotidianità e dal mondo naturale. Quello che ne viene fuori è un’analisi attenta che evidenzia un’anima “sporca” e “appesantita” da un contesto socio-culturale che non le permette di essere come dovrebbe: leggera.
Attraverso la mostra, allestita presso lo studio Trisorio di Napoli, l’artista offre al visitatore un quadro puntuale sullo “stato dell’anima” e possibili “soluzioni” per riportarla alla sua consistenza originaria, ovvero eterea, impalpabile.
Cinque le sculture esposte presso lo spazio partenopeo tutte appartenenti alla serie dei meccaniche realizzate fra il 1988 e il 2022 e tre Bodylandscapes, grandi disegni caratteristici della Horn, le cui dimensioni corrispondono esattamente alla massima estensione del suo stesso corpo.
Così come riporta la nota stampa: «In ogni opera della Horn traspare la sua poetica incentrata sul concetto di energia, e da ciascuna di esse sembra scaturire una forza misteriosa che evoca desideri intrisi di sensualità ed eros, una corrente emotiva che connette lo spettatore al mondo interiore dell’artista, alla sua stessa anima. Le sculture meccaniche della Horn hanno una vita propria, esprimono un universo denso di riferimenti e allusioni. Così nell’opera Art Eaters (Mangiatori d’arte) del 1998 alcuni grilli meccanici, simboli di vita, di rinascita e di trasformazione, si muovono sulla superficie di grandi tele bianche su cui l’artista ha dipinto macchie di colore blu».
Gli oggetti che l’artista sceglie per i suoi lavori si caricano di significati simbolici e allegorici, come i pennelli nell’opera Die zehnköpfige Schlange (Il serpente a dieci teste), le scarpe da sposa in Die Preussische Brautmaschine (La macchina nuziale prussiana), gli specchi in Die Brüste der Dreieinigkeit (I seni della trinità) o la conchiglia in Die Dreifaltigkeit der Begierde (La trinità del desiderio), metafora dell’universo femminile.
Le sculture dinamiche di Rebecca Horn raccontano di un desiderio di leggerezza anche lì in cui gli oggetti sono in condizione di staticità. Le conchiglie perlacee, così come i cerchi in metallo, sono collati nello spazio sospesi nell’aria e, grazie alla loro forma vorticosa trascinano, in una rincorsa visiva, l’osservatore che rimane totalmente ipnotizzato da questi “volteggi”.
L’obiettivo dell’artista è alimentare un “dialogo dadaista” tra pensiero filosofico (il peso dell’anima), gli oggetti decontestualizzati (desunti da una realtà quotidiana) e un allestimento minimale (attraverso ingranaggi essenziali) per evidenziare come lo spirito possa essere descritto attraverso un elegante volo di piume di struzzo.
E se l’anima, in un momento storico come questo, pare essersi solidificata, come vapore a temperature sottozero, la Horn ci ricorda, invece, quanto sia importante ricollocarla nel sua dimensione originaria e con un peso specifico corrispondente alla sua reale natura.
L’artista tedesca, con mostre nei principali musei del mondo e partecipazioni alle più prestigiose esposizioni internazionali come Documenta a Kassel (1972, 1977, 1982 e 1992) e alla Biennale d’arte contemporanea a Venezia (1980, 1986 e 1997), racconta lo stato dell’anima attraverso una lettura tutta al femminile evidenziando come tale “universo” sia più pronto a mettere in discussione le regole di un mondo maschiocentrico.
I Bodylandscapes intitolati rispettivamente Schreib Winde (Argano da scrittura), Feder Flug (Volo di piume) e Schwebezustand der Seelenfrucht (Stato fluttuante del frutto dell’anima), «sono realizzati come atti performativi capaci di mettere in relazione il mondo interiore dell’artista e quello esteriore, attraverso la forza impulsiva e immediata del segno che evoca sulla superficie immagini di paesaggi cosmici. Questi lavori, intesi non solo come tracce del movimento fisico, ma anche come espressioni di spinta emotiva e passionale, caratterizzano il percorso della Horn e, seppur con un mezzo espressivo diverso, sono in continuità con le sue performance degli anni Settanta incentrate sul corpo».
Centrale, infatti, nonostante il tema della mostra, resta il corpo: un involucro proiettato nello spazio custode di un’anima che oggi, più che in passato, cerca lievità. La Horn riesce a riportare il tutto a questa condizione mettendo in campo l’eros che libera l’essere umano dalle regole del vivere quotidiano per privilegiare i piaceri della vita.

Ivan D’Alberto


 
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