Napoli, al Madre la prima mostra retrospettiva che celebrale forme mutevoli di Lawrence Caroll
il mattino / 25 marzo 2022
A tre anni dalla sua scomparsa il Museo Madre di Napoli dedica la prima grande retrospettiva museale a Lawrence Carroll, artista vissuto tra gli Stati Uniti e l’Italia, con 90 opere che raccontano la storia, la ricerca e le inquietudini di un interprete cosmopolita della ricerca pittorica.
Carroll, la cui prima mostra in Italia fu esposta proprio a Napoli nel 1995 nello Studio Trisorio, recupera e reinterpreta oggetti e materiali che appartengono al nostro vissuto quotidiano. Tele piegate o arrotolate, pezzi di legno, vecchie scarpe, sono riproposte dall'artista in un diverso contesto spaziale e trasposte nel tempo astratto dell'opera.
Pur rispettando la memoria degli oggetti, lasciando visibili le tracce della loro storia, l'artista vi interviene in modo personale: sovrappone lentamente strati di pittura - oli e acrilici ricercati fra i toni caldi del bianco, con rari sprazzi di colore - li riveste di una nuova pelle di cera o lascia trasparire fra gli strati sottili di colore e vernici la trama originaria della materia.
La mostra – a cura di Gianfranco Maraniello, in collaborazione con Lucy Jones Carroll per l’Archivio Lawrence Carroll – indaga la storia e la figura di questo protagonista della scena artistica nordamericana e internazionale, non assimilabile alla storia delle avanguardie e neoavanguardie.
«Siamo orgogliosi di presentare al Madre questo omaggio a Lawrence Carroll, artista vissuto tra gli Stati Uniti e l'Italia» afferma la Presidente Angela Tecce –, «progetto espositivo che si inserisce nella tradizione delle grandi mostre che il museo ha dedicato a protagonisti della ricerca artistica contemporanea. La pittura, la scultura, le installazioni e le foto di Carroll sono testimonianze di una profonda riflessione interiore e della sua costante indagine sull'esistenza e sulla necessità che l'umanità ha dell'arte. Le sue opere dai colori sommessi, stratificati e dalle forme essenziali inglobano memorie del vissuto e tracce del reale, trasfigurandoli in un linguaggio rigoroso ed evocativo».
La mostra presenta una selezione di 90 opere dell’artista realizzate nel corso di oltre trent’anni di carriera (dal 1985 al 2019), allestite in un percorso che – come nel sentire dello stesso Carroll – privilegia le relazioni delle opere con lo spazio e con i sentimenti rispetto alla paralizzante classificazione cronologica o tematica. Carroll considerava infatti i suoi lavori presenze fisiche che abitano gli spazi e che incontrano l’osservatore, entrandoci in dialogo. Ogni sua realizzazione mantiene per questo la stessa imperfezione dell’essere umano e, usando le sue stesse parole, un necessario “ancoraggio al mondo”.
«Realizzare oggi una mostra di Lawrence Carroll significa restare fedeli alla sua inquietudine, corrispondere alla vitalità di opere che continuano a cercare il loro luogo dove vivere interrogando le incessanti possibilità della pittura.» – dice Gianfranco Maraniello, curatore della mostra. – «Il Madre è un museo meraviglioso. La sequenza di stanza sembra offrire un modello da pinacoteca tradizionale, ma Carroll esce fuori dai perimetri dell’opera, è un’espansione della pittura nello spazio. Quindi lavorare al Madre significa negare la sua stessa possibilità, andare contro il dispositivo espositivo».
Nelle opere di Carroll sono presenti temi e maniere della pittura contemporanea negli Stati Uniti, da Jasper Johns a Robert Ryman, da Ad Reinhardt a Robert Rauschenberg, come della scultura di Donald Judd e Carl André; partendo dalla progressiva cancellazione di immagini preesistenti, Carroll arriva a stesure di colore bianco simili alla tela stessa. La superficie del quadro si rivela così non solo un campo stratificato di pigmento, ma anche un modo per osservare il potenziale infinito di dipingere.
Nei suoi quadri Carroll ha continuato a interrogare gli strumenti dell’arte, tagliando e ricombinando porzioni di tela dove le cuciture sembrano disegni o ferite, innestando oggetti organici o inorganici – fiori, foglie, guanti, scarpe, la polvere del suo studio – dando luogo a sorprendenti volumetrie, attuando una costante ridefinizione della pittura. Attraverso le sue opere l’artista propone un’incessante interrogazione su quale sia la sua posizione nei confronti della realtà, della sua solitudine di fronte al mondo, del mondo da lui creato.
Valentina Bonavolontà