Wood e Harrison, “maghi” dello spazio. Videoinstallazioni allo Studio Trisorio
la repubblica / 19 febbraio 2024
Lo sguardo di una camera fissa sull’ironia minimalista del duo di artisti britannici con text paintings e scritte al neon che catturano l’osservatore mettendo in discussione anche la pittura. Opening giovedì nella galleria della Riviera di Chiaia.
Nessun umano riuscirebbe a vedere in sequenza dall’alto verso il basso il contenuto delle stanze corrispondenti di un palazzo dall’altezza indefinita, diciamo un grattacielo.
Per la verità, neanche aiutati da una telecamera sarebbe possibile farlo, perché bisognerebbe calarsi giù con una bilancia da uomini delle pulizie davanti a ogni finestra in verticale. Nel video del 2011 “Tall Buildings” del duo di artisti britannici John Wood e Paul Harrison, della durata di 14 minuti e 14 secondi, ipnotici come in tutti i loro brevi video, pare si voglia dimostrare quali sono i limiti delle umane possibilità a muoversi in relazione all’ambiente circostante che di solito è costruito dagli stessi artisti. Wood e Harrison tornano a esporre allo Studio Trisorio nella personale dal titolo “All the Other Things Are Not This Thing” (Tutte le altre cose sono diverse da questa). Inaugurazione giovedì alle 18,30 (Riviera di Chiaia, 215, fino al 13 aprile).
In mostra 10 “Text Paintings” in video e scritte al neon di vari periodi della loro produzione creativa e nuovi. Dal 1993 il duo crea videoperformance in stile minimalista dove il più delle volte sono loro stessi protagonista, da soli o in coppia, oppure lasciano la scena a singoli oggetti o meccanismi che a loro volta svolgono dei compiti: il loro modo di stare nello spazio scenico alterna il registro tragico a quello comico e all’ironico, con uno humour in stile britannico.
L’azione è sempre ripresa da una telecamera fissa, rendendo, così, lo spazio in cui la scena si svolge simile a un quadrato piatto e immobile.
È quello che si vede in “Tall Buildings” dove la camera scorre in basso a intervalli regolari come se si andasse in ascensore in una stanza oppure lasciano la scena a singoli oggetti o meccanismi che a loro volta svolgono dei compiti: il loro modo di stare nello spazio scenico alterna il registro tragico a quello comico e all’ironico, con uno humour in stile britannico.
L’azione è sempre ripresa da una telecamera fissa, rendendo, così, lo spazio in cui la scena si svolge simile a un quadrato piatto e immobile.
È quello che si vede in “Tall Buildings” dove la camera scorre in basso a intervalli regolari come se si andasse in ascensore in una stanza thriller degli anni Novanta il mondo metafisico influenza quello reale. In quel “teatro” surreale i due artisti, in abiti da prestigiatori, compiono numeri di magia infantili e naive. In “Semi-automatic Panting Machine” del 2014 (19 minuti) delle pistole a spruzzo di duchampiana memoria colorano su comando degli artisti, sostituendosi a loro i più diversi oggetti: quadri, aerei, automobili, lampadine, ombrelli, stivali da pioggia. In un altro video, “13 Assassinations” (2013), il duo rende l’omicidio, anzi i 13 delitti, una farsa che si ripete: l’azione è la stessa ma la modalità è differente. Harrison indossa una camicia bianca mentre è seduto in panchina, va in bicicletta, risponde al telefono o si guarda allo specchio. Ogni volta si sente l’esplosione di uno sparo che lo colpisce e il rosso del sangue viene spruzzato sulla parete e sugli abiti. Quello che ci si aspetterebbe, però non accade: l’artista rimane impassibile, testimoniando a oltranza la finzione lontana anni luce da quella che dovrebbe essere la realtà: non è né ferito (pur sanguinando vernice rossa) né simula la caduta da morto. In “Demo Tape” (2020) si vedono i due artisti che impugnano cartelloni di protesta (placard) con varie scritte, alcune divisibili in due parti. Un film silenzioso sul diritto a manifestare un’idea.
Renata Caragliano
Stella Cervasio