Louise BOURGEOIS

segno / aprile — maggio 2017


Voyages Without a Destination

Dopo la grande retrospettiva tenutasi al Museo Nazionale di Capodimonte nel 2008, Napoli ospita nuovamente il lavoro dell’artista francese con la personale Voyages Without a Destination, allo Studio Trisorio fino al 17 giugno 2017, con quattro sculture bronzee e 34 disegni – metà dei quali inediti – realizzati dall’artista fra il 1940 e il 2009.
«La storia della mia carriera è stata questa. Per molti anni, fortunatamente, i miei lavori non si sono venduti né per profitto né per altre ragioni. Io ero molto produttiva, perché nessuno cercava di copiare il mio alfabeto […]. La mia immagine è rimasta tutta mia e di questo sono molto riconoscente. Ho lavorato in pace per quarant’anni. La produzione del mio lavoro non ha avuto niente a che vedere con la sua vendita. Su di me il mercato continua a non avere alcun effetto, né in positivo né in negativo».
Quasi completamente sconosciuta in Europa, fino all’età di ottanta anni, quando nel 1993 fu invitata alla Biennale di Venezia in rappresentanza degli Stati Uniti, Louise Bourgeois, artista francese (Parigi, 1911), americana di adozione (si trasferisce a New York dal 1938 al 2009, data in cui muore alla veneranda età di 98 anni), libera da ogni obbligo egoico e celebrativo – che spesso accompagna chi consapevolmente è parte del circuito ufficiale dell’arte – ha operato per oltre mezzo secolo, nella possibilità di sottrarsi ai dogmi di uno sguardo interessato e normativo ed all’insegna della complessa autenticità del fare; fedele ad una visione dell’arte quale luogo introspettivo e di introspezione.

Le sue opere, costante e silente confessione del senso di inadeguatezza e di non accettazione, che la accompagnerà sempre – anche nei lunghi e spesso faticosi anni della psicoanalisi –, si configurano come isole indipendenti di una unica cartografia emozionale in cui la Bourgeois si muove quasi invisibilmente. I do, I undo, I redo – fare, disfare, rifare – (leitmotiv del film documentario The Spider, the Mistress and the Tangerine, diretto da Marion Cajori e Amei Wallach, e titolo di una colossale istallazione dell’artista, esposta alla Tate Modern di Londra nel 2000), sono i tre tempi che scandiscono tutta la sua esistenza produttiva: una continua scrittura, cancellazione e sovrascrittura dello spazio-ricordo, in cui differenti costellazioni del mondo sensibile si scontrano incessantemente; una conflittualità chiaramente percepibile nelle sue sculture in cui la sostanza invisibile del suo sentire si fossilizza in materia. In lavori quali Precious Liquids (un’enorme botte di legno – otre/utero –, all’interno della quale sono disposte ampolle di vetro contenenti secrezioni corporali) o nella serie Cells (stanze/gabbie allestite con diversi materiali – stoffa, vetro, marmo, legno – e decorate con icone del vissuto – clessidre, specchi, ampolle, ed altro –) la Bourgeois propone sotto forma di ambienti percorribili le sensazioni e gli stati emozionali, che scandirono il memoriale della sua infanzia come il senso dell’abbandono, la paura del buio, il bisogno di fuggire, la sensazione di non essere accettati, la rabbia, l’ansia; materializzati in una ripetizione di oggetti simbolici che l’artista stessa, osserva in trasparenza. Antiche presenze ed emergenze emotive, mai riassorbite e riscattate; rievocazioni che con violenza urlano e rivendicano in modo stridente, ancora uno spazio nel tempo del presente.

«Le emozioni sono il soggetto primario della mia opera»; un’indagine che si ascrive ad interminabile ed estenuante esercizio visivo, in cui vaneggiare quel «pezzo mancante di sé» con un impegno etico dalla straordinaria laboriosità; «il mio lavoro – ancora, continua la Bourgeois in una preziosa intervista rivelazione, risalente agli ultimi anni di vita – è l’opera di ricostruzione di me stessa e trova origine nella mia infanzia... la memoria e i cinque sensi sono strumenti di cui mi servo. Il mio lavoro riguarda la fragilità del vivere e la difficoltà di amare ed essere amati [...]. Utilizzo un linguaggio simbolico per esprimermi. Bisogna impregnare la materia di sentimenti. Il mio bisogno di utilizzare materiali soffici e stoffe, di far ricorso al cucito e alla bendatura dice la paura della separazione e dell’abbandono. Le emozioni sono proiettate all’esterno, in una forma e in uno spazio. L’inconscio è portato alla coscienza attraverso l’arte». Louise Bourgeois come una sciamana trasforma il cerimoniale del lavoro in rito di passaggio, in cui ha luogo una lucida e consapevole autoanalisi; tutte le sue creature/creazioni (le spirali – come la famosa Spiral Woman –, emblemi concettuali dell’ininterrotto tentativo di dar ordine e dominare il caos; le sculture raffiguranti ragni – micro e macro, come l’imponente Maman – personificazioni, ed elogio della figura materna e del fare al femminile, in contrapposizione alla oppositiva presenza paterna; o ancora la serie degli Arch of Hysteria, icone del dramma esistenziale) sono frammenti di monologo doloroso e resiliente, che non vuole essere azione di riscatto, ma docile accettazione necessaria alla sopravvivenza.

Lo scorso 25 marzo, al Museo di Capodimonte di Napoli, è stata inaugurata la mostra Incontri sensibili a cura di Sylvain Bellenger in collaborazione con lo Studio Trisorio, dove è esposta, per la prima volta in Italia l’opera Femme couteau (2002) di Louise Bourgeois in dialogo con il Martirio di Sant’Agata, opera seicentesca di Francesco Guarino. La mostra si potrà visitare fino al 17 giugno 2017.

Raffaella Barbato


 
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