Buren, colori nella gabbia
l’unità / 28 settembre 2008
«Un’opera che prenda in considerazione il luogo in cui viene mostrata/esposta non può essere spostata altrove e dovrà scomparire ad esposizione conclusa», avvertì, una volta, l’artista francese Daniel Buren (1938). Quindi si va a Napoli, allo Studio Trisorio (via Chiaia 215) a vedere l’intrasportabile per eccellenza, che ha perfino una sua data di scadenza definitiva: 30 novembre. La mostra di Buren, per chi non avesse capito l’antifona, si intitola Oggi, qui.
Per capire l’importanza che riveste l’artista nella cultura francese contemporanea basta entrare al Musée d’Art Moderne de la Ville, a Parigi, e scoprire che là, lui fronteggia con una sua enorme opera a parete l’ultima Danse di Matisse. In una grande sala: soltanto loro due. Non so se mi spiego. Credo che Buren incarni e analizzi la quintessenza di una visione francese tutta luce e colore. Che sia l’erede di quella tradizione lì. Solo che lui l’ha liberata dai riquadri della pittura. L’ha fatta diventare spazio, luogo. Zittendola, anche: non più scene né figure. Nessun racconto, nessun simbolo o significato. Dagli anni Sessanta sistematicamente Buren ricopre interni ed esterni con le sue strisce colorate, un pattern fisso e immutabile, variato e moltiplicato all’infinito. L’artista ha più volte precisato: questo è solo «materiale rigato», uno strumento, come i tubetti di colore per Cézanne. L’opera è in relazione al luogo, «il lavoro è là dove viene esposto». Da Trisorio, ecco allora stanze in tensione cromatica e dunque architettonica, porte ostacolate, mura coperte da scacchiere arancioni, verdi, azzurre. Le vedi anche dal bel cortile, attraverso le finestre aperte, come un assedio positivo, una saturazione ottica della domesticità più pura.
m.d.c